Giorn. It. Ost. Gin. Vol. XXVII - n. 9

Settembre 2005

 

 

 

Adenomiosi e infertilità:

patologia misconosciuta?

 

A. angelini*, G.F. Brusco**, S. Arena**

 

 

 

L’adenomiosi è una patologia ginecologica ad etiologia non completamente definita, caratterizzata dalla presenza di ghiandole endometriali e stroma nel miometrio, con un’iperplasia della muscolatura liscia circostante.

È stata in passato definita come “the elusive uterine disease” (la patologia uterina sfuggente) e “a neglected diagnosis” (diagnosi trascurata) (1).

Il grado di invasione miometriale è variabile, ma la patologia può interessare tutto lo spessore muscolare sino alla sierosa.

Nel 1860, Rokitansky descriveva, per primo, un quadro di accrescimento endometriale (stroma e ghiandole) di tipo anomalo, che definiva come “cystosarcoma adenoides uterinum”. Lo sviluppo del tessuto poteva realizzarsi secondo due linee principali, nella parete muscolare dell’utero o in cavità endometriale.

La definizione di adenomiosi è stata utilizzata per la prima volta da Franckl nel 1925 (2).

Nel 1972 Bird et al. definirono come adenomiosi “un’invasione benigna dell’endometrio nel miometrio, favorente un aumento di dimensioni del corpo uterino, che microscopicamente si presenta con ghiandole e stroma endometriale in sede ectopica, circondati da miometrio ipertrofico ed iperplastico” (3). Attualmente questa è ancora la definizione della patologia.

Ferenczy definisce invece come adenomiosi la presenza di stroma e ghiandole endometriali localizzati casualmente ed in profondità nel miometrio (3). La profondità di interessamento del miometrio è un parametro fondamentale, poiché la normale giunzione endo-miometriale è irregolare. È quindi necessario differenziare l’adenomiosi da invaginazioni endometriali circondate da miometrio.

Dove si localizza prevalentemente? Per primo, nel 1896, Von Recklinghausen osservò come gli elementi ghiandolari, tipici dell’adenomiosi, fossero maggiormente insediati a livello della parete posteriore.

Benson e Sneeden notarono, in seguito, come la patologia sia un processo che interessa in maniera prevalente e diffusa la parete posteriore, e con minor frequenza quella anteriore, i recessi tubarici e la porzione istmica. Nel 1989, Azziz constatava come la patologia comportasse un aumento dello spessore della parete posteriore uterina (4).

È accordo comune considerare come adenomiosi solo le lesioni che si localizzano oltre 2,5 mm dall’interfaccia endometrio-miometrio (EMI) (5), lasciando alla definizione di adenomiosi sub-basale la forma che si localizza a meno di 2 mm dall’endometrio basale (6).

La parete posteriore dell’utero è la regione maggiormente interessata. Alle aree adenomiotiche è frequentemente associata la presenza di una iperplasia della muscolatura liscia, con conseguente aumento di volume dell’utero.

Nel corso degli anni sono stati ipotizzati e formulati numerosi e differenti criteri di classificazione (7). Sono state descritte anche altre sedi di localizzazione della patologia, con difficoltà di diagnosi differenziale rispetto ad altre condizioni cliniche, in modo specifico l’endometriosi.

Secondo McCausland et al., esistono due differenti tipologie di adenomiosi, una molto frequente, ovvero la forma diffusa, che spesso interessa intere porzioni del miometrio, mentre l’altra, localizzata e circoscritta, definita comunemente adenomioma, può, alla valutazione isteroscopica, essere confusa con un mioma sottomucoso (4). In particolare, notevole è la difficoltà di distinzione a livello della lamina retto-vaginale (8).

 

 

Epidemiologia

 

L’incidenza dell’adenomiosi ha subito notevoli variazioni nel corso degli anni, assestandosi in un range compreso tra il 5.7% ed il 69.6%. La causa di tale ampio divario è presumibilmente imputabile non solo ai diversi criteri istologici di diagnosi utilizzati, ma anche al differente zelo con cui l’anatomo-patologo si spinge a ricercare la patologia. Essendo spesso una patologia a sviluppo focale, la diagnosi resta ancora oggi di non semplice formulazione.

Quadri istologici di adenomiosi sono riscontrabili nel 20-35% delle pazienti sottoposte ad isterectomia per patologie ginecologiche benigne.

La diagnosi viene solitamente effettuata in pazienti pluripare alla quarta-quinta decade di vita.

In realtà, una valutazione dell’incidenza dell’adenomiosi in relazione all’età della paziente non è mai stata effettuata (2).

Una stretta correlazione, pare possa esserci fra parità ed adenomiosi. Le pazienti affette sono nel 93% dei casi pluripare. La connessione è tutta da verificare, ed è alla base di un importante paradosso, mentre l’adenomiosi aumenta la propria incidenza con la parità, questa è un fattore protettivo per l’endometriosi.

 

 

Sintomatologia

 

Si manifesta con un regolare aumento del corpo uterino associato a menorragia (40-50%), dismenorrea (10-30%), metrorragia (10-12%), dispareunia.

Tali sintomi non sono però specifici, ma possono manifestarsi in numerose patologie ginecologiche, come DUB, fibromatosi uterina ed endometriosi.

La causa della menorragia non è chiara, ma si ipotizza una ridotta contrattilità della parete uterina. In base a quanto constatato da Mc Causland et al. la forma diffusa sarebbe responsabile della menorragia, mentre le forme localizzate non sarebbero, in realtà, in grado di favorire una sintomatologia analoga (4).

Con minor frequenza si associa ad anovularietà, iperplasia e raramente ad adenocarcinoma.

La dismenorrea è causata dalla maggiore irritazione uterina dovuta alla ritenzione di materiale ematico.

È importante sottolineare come nel 35% dei casi sia completamente asintomatica, e che spesso la sintomatologia è imputabile ad una patologia associata (3).

Nell’adenomiosi, i sintomi insorgono, solitamente, la settimana che precede la fase mestruale. Una stretta correlazione, pare possa esserci fra parità ed adenomiosi.

 

 

Eziopatogenesi

 

L’origine dell’adenomiosi è ancora oggi non completamente chiara.

Un’ipotesi vede per adenomiosi ed endometriosi un’origine comune di natura metaplasica.

Mai et al. hanno ipotizzato, infatti, che adenomiosi ed endometriosi sarebbero la conseguenza di una sintesi di cellule dell’epitelio endometriale, favorita dalla presenza a livello del corpo uterino e delle sedi ectopiche di cellule stromali dell’endometrio. Dalla trasformazione anomala di periciti multipotenti, infatti, si genererebbero elementi stromali, la cui presenza favorirebbe in un secondo momento la formazione delle strutture ghiandolari (9).

L’applicazione della risonanza magnetica e della ecografia transvaginale ha permesso di identificare come a livello endometrio-miometriale (EMI) esista un difetto che favorisce l’insorgenza dell’adenomiosi (10, 11).

La patologia è stata a lungo studiata su modelli animali. Tende a formarsi spontaneamente nei primati e nei roditori, ma può essere favorita da impianti di tessuto endometriale nel miometrio (12). La conformazione strutturale e molecolare delle ghiandole endometriali ectopiche differisce da quelle eutociche? Esiste una particolare anomalia a carico delle struttura adenomiotiche che le renderebbe facilmente responsive agli stimoli di proliferazione?

Studi di biologia molecolare hanno dimostrato come le ghiandole endometriali presenti nei focolai adenomiotici presentino una maggiore concentrazione di recettori per HCG ed LH rispetto al tessuto normale. È ipotizzabile che la maggiore responsività allo stimolo ormonale favorisca lo sviluppo intra-miometriale. Il fenomeno non è esclusivo dell’adenomiosi, ma è presente anche a carico di patologie neoplastiche. In particolare, il corioncarcinoma invasivo rispetto alla forma non-invasiva presenta un’analoga maggiore concentrazione di recettori per HCG ed LH (3).

Solo l’azione della gonadatropina corionica o dell’ormone luteotropo sarebbe in grado di agire sull’endometrio ectopico? Sicuramente la sensibilità a tali ormoni giustifica la maggiore presenza di focolai adenomiotici nelle pazienti pluripare, ma non è l’unica.

I focolai adenomiotici presenterebbero anche una maggiore concentrazione di recettori per estrogeni e progesterone. Uno stato di iperestrogenismo relativo sarebbe un’ulteriore elemento responsabile dell’accrescimento anomalo del tessuto.

Secondo Yamamoto et al. una concentrazione elevata di estrogeni sarebbe basilare per la genesi e la crescita dell’adenomiosi (13). Avvalora tale ipotesi l’osservazione clinica della riduzione della sintomatologia e della patologia stessa in seguito a trattamento con Danazolo (13).

I focolai adenomiotici sarebbero anche in grado di autostimolare la propria crescita, contribuendo a mantenere quello stato di iperestrogenismo che ne favorisce lo sviluppo.

Le aree adenomiotiche sono risultate, attraverso studi di biologia molecolare ed immunoistochimica, fortemente positive per una maggiore attività di aromatasi ed estrogeno-sulfatasi rispetto al tessuto normale. Nelle pazienti affette da adenomiosi è possibile riscontrare una concentrazione ematica di estrogeni >30 pg/ml rispetto ai soggetti sani, frutto di questa sintesi ormonale ectopica (3).

L’adenomiosi è quindi una patologia esclusivamente ormono-dipendente? In realtà, la biodisponibilità ormonale non sarebbe l’unico fattore responsabile della patologia.

Esistono in questo caso due elementi fondamentali che sono coinvolti dall’adenomiosi, l’endometrio ed il miometrio.

Quest’ultimo non è una struttura che subisce passivamente l’invasione endometriale; non è completamente scevro da possibili “responsabilità”. È stata ipotizzata una fragilità maggiore dello strato muscolare, che renderebbe il miometrio facilmente penetrabile.

Ciò che invece non è ancora definita è la causa dell’iperplasia e dell’ipertrofia miometriale che si riscontra intorno ai focolai adenomiotici. Non è stata verificata a carico di tali miociti alcuna alterazione strutturale o genetica (3), ma è ritenuta da alcuni autori come la risposta difensiva miometriale all’invasione (11).

 

 

Adenomiosi e sistema immune

 

Ad oggi l’endometriosi è considerata la principale causa di infertilità nella donna. La presenza di endometrio in sede ectopica sarebbe l’elemento responsabile del mancato concepimento. In modo particolare, l’endometriosi, patologia molto più a lungo studiata rispetto all’adenomiosi, si accompagna ad una particolare e ben definita risposta immunitaria. È stato dimostrato come nelle pazienti con endometriosi sia possibile identificare un incremento della concentrazione di macrofagi attivi, in grado di produrre numerose citochine, nel liquido peritoneale. Inoltre, a livello del sangue periferico è rilevabile un titolo elevato di autoanticorpi, in modo particolare anti-fosfolipidi.

L’anormalità del sistema immunitario sarebbe l’elemento responsabile dell’infertilità nella patologia endometriosica.

Analoghe anomalie a carico del sistema immunitario sono state rilevate anche nelle pazienti affette da adenomiosi (14).

La relazione adenomiosi-sistema immune verrà adeguatamente valutata in questo paragrafo.

 

Espressione di antigeni di superficie

 

Human Leukocyte Antigens (HLA)

 

Sono suddivise in 3 classi (I, II e III), e permettono l’esposizione dell’antigene e l’attivazione dei macrofagi e delle cellule T.

A livello endometriale vengono espresse durante tutto il ciclo mestruale, ma nelle pazienti affette da adenomiosi l’espressione risulta incrementata. Al vaglio degli esperti è la modalità di stimolazione che induca tale esposizione. Numerose citochine sono secrete in pazienti affette da endometriosi. In particolare, un ruolo di primo piano in questo campo pare venga svolto dall’Interferon-g. Sarebbe infatti capace di stimolare l’esposizione di molecole HLA di classe II a livello endometriale, specie in quello ectopico. Le molecole verrebbero riconosciute dai macrofagi che attiverebbero i linfociti B e i T Helper.

 

 

Macrofagi

 

Nelle pazienti affette da adenomiosi sono presenti in concentrazione elevata a livello del fluido peritoneale, dove secernono numerose citochine, fra cui IL-1 e TNF, in grado di interferire con i meccanismi di concepimento, mediante fagocitosi degli spermatozoi e riduzione della loro motilità, o interferenza diretta sulla fecondazione o sull’impianto.

 

 

Autoanticorpi

 

Nelle pazienti affette da adenomiosi si rileva un titolo aumentato di autoanticorpi, in modo particolare antifosfolipidi.

Sono maggiormente riscontrabili IgG anti-fosfatidilinositolo, IgG anti-fosfatidilglicerolo e IgG anti-fosfatidilserina. È evidente la stretta correlazione fra la patologia e la presenza di autoanticorpi, in quanto la terapia con Danazolo ne riduce in 8 settimane il titolo IgM (14).

La presenza di anticorpi anti-fosfolipidi si associa a basso tasso di gravidanze e ad aumentata abortività.

È stata dimostrata, a livello delle aree di adenomiosi, un aumento dell’attività immunologica, con incremento non solo dell’espressione di antigeni di superficie, di heat shock proteins, di molecole di adesione, di macrofagi e linfociti, di immuno complessi ed auto anticorpi, ma anche della concentrazione di superossido-dismutasi, glutatione-perossidasi e xantina-ossidasi. In che modo, però, le modificazioni immunologiche possano favorire la patologia o se in realtà siano una conseguenza dell’adenomiosi è tutto da chiarire (14). Sicuramente un elemento di notevole importanza nella correlazione adenomiosi-infertilità è la squilibrata sintesi di ossido nitrico che si verifica in presenza di tali alterazioni immunologiche.

 

 

Interfaccia endometrio-

miometriale (EMI)

 

L’elemento basilare nella patogenesi dell’adenomiosi è l’interfaccia endometrio-miometriale, che richiede un’adeguata ed attenta definizione. È composto dall’endometrio basale e dal miometrio sub-endometriale (myometrial junctional zone) ed è a tutti gli effetti una struttura che ricopre un ruolo di primo piano nel trasporto degli spermatozoi, nell’impianto, nella placentazione e nella fase mestruale (5). Le componenti endometriale e miometriale hanno una medesima origine embrionale. Sono una evoluzione dei dotti paramesonefrici, e sono soggetti, in quanto sensibili allo stimolo ormonale, a regolari cambiamenti in concomitanza delle differenti fasi del ciclo mestruale.

L’EMI può essere facilmente individuata, alla valutazione ecografica con sonda trans-vaginale della cavità uterina, in fase luteinica avanzata, come un’area iperecogena che circonda l’endometrio di aspetto ipoecogeno.

L’endometrio basale costituisce lo strato interno dell’EMI, ed ha uno spessore di circa 1 mm. È costituito da stroma e dalla porzione basale delle ghiandole endometriali. Sono individuati, nello spazio peri-ghiandolare, aggregati linfoidi composti da un nucleo centrale di linfociti B circondati da cellule T e più esternamente da uno strato di monociti/macrofagi. In coincidenza delle fasi mestruali la composizione di tali aggregati tende a modificarsi. In particolare, la quota di linfociti T e di cellule positive per HLA-DR ed interferon-g aumenta nel corso della fase secretiva e tende a ridursi in quella proliferativa.

Il ruolo di tali aggregati linfoidi non è completamente chiaro.

Il miometrio sub-endometriale costituisce il terzo interno del miometrio. Ha uno spessore di 5 mm. Presenta una vascolarizzazione ridotta rispetto alla restante frazione muscolare dell’utero, ed è costituito da uno strato compatto di cellule muscolari lisce, orientate in senso longitudinale, che decorrono parallele all’endometrio. Sono cellule, che rispetto al restante miometrio sono di dimensioni maggiori, con rilevante componente nucleare e scarso contenuto di acqua.

Presentano recettori per estrogeni e progesterone, assenti nel miometrio esterno, che ne influenzano l’attività (15). L’azione del miometrio sub-endometriale, infatti, si modifica nel corso del ciclo mestruale: ha una contrattilità di tipo retrogrado al di fuori della fase mestruale, in modo da favorire il trasporto degli spermatozoi, ed il mantenimento in cavità uterina della blastocisti nelle fasi che precedono l’impianto; l’attività contrattile diventa di tipo anterogrado in fase mestruale, consentendo lo sfaldamento endometriale ed un regolare flusso (16).

Ovviamente il sistema può però incepparsi.

Nelle pazienti affette da endometriosi è stata riscontrata una contrattilità di tipo retrogrado in fase mestruale, fenomeno che può fortemente contribuire allo sviluppo della malattia (17).

Nella patogenesi dell’adenomiosi è importante un aspetto tipico dell’EMI, che distingue quest’interfaccia dalle altre numerose presenti nel corpo umano. È, infatti, assente uno strato sottomucoso, fra muscolatura ed epitelio, che possa impedire il passaggio di materiale endometriale nel miometrio.

 

 

Ruolo dell’EMI nella

patogenesi dell’adenomiosi

 

L’etiologia dell’adenomiosi non è ancora completamente definita. Si è sempre ritenuto che fosse causata da un’abnorme invasione dell’endometrio basale nel miometrio sub-endometriale, teoria favorita dal riscontro istologico di un continuum fra endometrio ed adenomiosi (12, 18).

Di recente, è stato, invece, dimostrato come l’adenomiosi possa insorgere solo in seguito ad una lesione dell’EMI, favorita spesso da danni di natura meccanica (19). La teoria è supportata dal riscontro su modelli animali e dalla stretta correlazione fra adenomiosi ed un’anamnesi positiva per manovre intra-uterine (19).

L’EMI è, inoltre, fortemente alterato dal trofoblasto durante le fasi di placentazione, fenomeno che giustifica la maggiore incidenza di adenomiosi in donne pluripare.

Differente patogenesi è quella invece chiamata in causa da una seconda ipotesi, in base alla quale, adenomiosi ed endometriosi riconoscerebbero un medesimo meccanismo patogenetico, un’anomala contrattilità ed una iperperistalsi del miometrio sub-endometriale (10, 11, 18).

È stato dimostrato su modelli animali, come uno squilibrio ormonale tale da provocare un’anomala formazione dello stroma e del miometrio nel periodo neonatale, sarebbe responsabile della patologia adenomiosica in età adulta (12).

In questo aspetto, un ruolo importante pare possa essere giocato da interventi a carico della parete uterina, quali taglio cesareo e revisioni (20).

 

Ruolo dell’EMI e dell’adenomiosi

nell’infertilità

 

In una paziente con adenomiosi, un’anomala contrattilità del miometrio esterno e/o dell’EMI durante la fase mestruale, potrebbero essere responsabili della sintomatologia menorragica (6), mentre una forma di adenomiosi sub-basale (invasione miometriale inferiore a 2 mm) sarebbe la causa di sanguinamenti uterini disfunzionali (21).

In che modo l’adenomiosi possa interferire con la capacità fertile di una donna, è un aspetto della patologia che non è mai stato adeguatamente approfondito.

La presenza di focolai adenomiotici, in modo particolare a livello del fondo uterino, si pensa possa interferire con l’impianto dell’embrione, ma Camargo et al. hanno recentemente dimostrato come tale teoria non sia poi così fondata (22). L’attenzione della comunità scientifica si è concentrata di recente sul rapporto tra attività contrattile endo-miometriale ed infertilità di coppia. È stato dimostrato come un aumento della frequenza delle contrazioni uterine nel giorno dell’embryo-transfer si associa ad una riduzione del pregnancy rate (23).

Nel 1973, Martinez et al. distinsero l’attività endo-miometriale in contrazioni propagate e non propagate, notando che la frequenza dell’attività aumenta in corrispondenza del periodo periovulatorio (24).

In embryo transfer simulati è stata riscontrata un’espulsione di blu di metilene dall’OUE nel 57% dei casi, ed una motilità verso le tube e verso la vagina rispettivamente nel 38.2 e nel 20.6% dei casi (25).

 

 

Adenomiosi e infertilità

 

L’infertilità è stato a lungo un risvolto poco approfondito, visto che la patologia tende a manifestarsi nella quarta-quinta decade di vita.

Oggi però, è sempre più alto il numero di pazienti che cerca la prima gravidanza fra i 30 ed i 40 anni.

Inoltre, fino a qualche anno fa la diagnosi della patologia era esclusivamente post-chirurgica, mentre oggi il dosaggio del CA-125, l’isteroscopia, la RMN hanno dimostrato come anche nelle pazienti infertili l’adenomiosi possa svolgere un ruolo di primo piano (14).

In tali condizioni, la correlazione adenomiosi-infertilità è aumentata progressivamente, fino ad avere un’incidenza del 53.8% in uno studio di de Souza et al. (26).

Purtroppo però in letteratura si continuano a ritrovare soltanto case-reports, di importanza notevole sicuramente ma che non permettono di arrivare a formulare considerazioni definitive.

Il tasso di abortività nelle pazienti affette da adenomiosi è rilevante, con un range compreso tra l’11% ed il 63% (14).

La terapia con Danazolo riduce tale percentuale ad un valore medio dell’11% (14).

Il meccanismo etiopatogenetico mediante il quale l’adenomiosi possa indurre infertilità o abortività precoce non è ancora completamente chiaro.

In questi anni è progressivamente incrementata la mole di dati che permettono di attribuire un ruolo di primo piano ai radicali liberi nella sterilità di coppia. Molti sono gli enzimi ampiamente presenti a livello endometriale in grado di produrre radicali liberi. Ad esempio, la ossido nitrico sintetasi (NOD) e la superossidodismutasi (SOD) sono presenti sia a livello dell’epitelio ghiandolare che di quello di superficie (27).

Si ipotizza che un ruolo di primo piano venga svolto dall’ossido nitrico, potente vasodilatatore.

In studi recenti è stato dimostrato come la ossido-nitrico-sintetasi endoteliale sia presente anche a livello dell’epitelio ghiandolare dell’endometrio (2). L’espressione dell’enzima varia in base alle fasi del ciclo mestruale, raggiungendo il massimo di sintesi alla metà della fase secretiva (28). L’NO è in grado di favorire una edemizzazione dell’endometrio che ostacolerebbe fortemente l’impianto e la fecondazione dell’ovocita.

Nella paziente affetta da adenomiosi, la sintesi dell’ormone sarebbe sempre di grado elevato (29). L’NO gioca un ruolo di primo piano nei processi di fecondazione, impianto ed ovulazione (30). Un’alterazione a carico dell’ossido nitrico può compromettere tali processi, in quanto se prodotto in quantitativi maggiori si trasforma in perossi-nitriti. Questi ultimi presenti in eccesso in numerose patologie, quali ischemia, aterosclerosi, shock settico, favoriscono la perossidazione lipidica, modificazioni delle proteine e danni a carico del DNA (30).

Entrerebbe a questo punto un particolare sistema di stimolazione a catena.

Gli estrogeni, coinvolti nella genesi dell’adenomiosi, favoriscono la sintesi e l’attività dell’ossido nitrico sintetasi, che di suo aumenta la produzione di NO e di perossidi.

Ma come l’ossido nitrico influenza la fecondazione?

Al momento si considerano 3 ipotesi differenti (Figg. 1, 2, 3):

L’NO potrebbe disturbare le contrazioni uterine mediante stimolazione paracrina. Nelle pazienti affette da endometriosi, Lendecker et al. hanno evidenziato come esista un’anomalia nell’attività contrattile uterina in relazione alle fasi del ciclo, presumibilmente responsabile dell’infertilità (31).

Gli spermatozoi sono sensibili all’azione dell’NO. A basse concentrazioni favorisce la capacitazione spermatica mentre ad elevate concentrazioni riduce la motilità spermatica ed induce tossicità (32).

Un eccesso o un deficit di NO sarebbe responsabile del danneggiamento dell’embrione nelle fasi iniziali di sviluppo.

Numerosi sono gli studi in-vitro che hanno dimostrato come l’ossido nitrico influisca in senso negativo sull’azione degli spermatozoi umani (32) e sugli embrioni di topo. Mantenuto a livelli di guardia, consente un’adeguata attività dei gameti maschili ed un regolare sviluppo del prodotto del concepimento.

Ma la sintesi dell’NO a cosa è imputabile?

Nella paziente con adenomiosi la risposta immunitaria accentuata a livello endometriale stimolerebbe i macrofagi e le cellule endometriali ad incrementare la sintesi di ossido nitrico a concentrazioni elevate, che ostacolerebbe fecondazione e impianto. Anche in presenza di impianto, l’embrione sarebbe soggetto all’attacco di macrofagi e cellule T o ad un eccesso di ossido nitrico, fattori responsabili di aborto (2, 14).

 

 

Superossidodismutasi (SOD)

e adenomiosi

 

È un enzima che catalizza la metabolizzazione dei superossidi in ossigeno e perossido di idrogeno. Nei roditori, l’arresto della proliferazione degli ovociti fecondati è immediatamente rimosso con la somministrazione di SOD. Un maggior tasso di sviluppo embrionale preimpianto si registra in presenza di una corretta concentrazione di radicali liberi.

Nelle pazienti affette da adenomiosi si riscontra uno squilibrio nelle concentrazioni di SOD, che può far pensare ad un coinvolgimento dell’enzima nei meccanismi del mancato concepimento o di abortività ripetuta. L’enzima è infatti presente in concentrazioni fortemente maggiori, fenomeno che evidenzia la maggiore concentrazione di radicali liberi presenti in circolo.

La loro produzione sarebbe imputabile alla risposta immunitaria (33).

 

 

Glutatione perossidasi (GPx)

e adenomiosi

 

L’enzima è presente a livello dell’epitelio ghiandolare e la sua attività è regolata dagli estrogeni in modo particolare, anche se è influenzato dall’azione degli altri ormoni sessuali (27). Nelle pazienti sane la concentrazione del GPx è bassa in fase proliferativa iniziale e cresce gradualmente, raggiungendo un picco in fase secretiva iniziale. Successivamente decresce.

Nelle pazienti affette da endometriosi i valori di GPx rimangono pressocchè costanti lungo tutto il ciclo.

Nelle pazienti con adenomiosi i valori di GPx seguono l’andamento ciclico delle pazienti sane, ma sono mediamente più alti rispetto agli altri due gruppi (27). Per quanto elevata possa essere la concentrazione dell’enzima, però, non è in grado di ridurre la concentrazione di perossidi a livello endometriale. La maggiore concentrazione dei radicali, in modo particolare idrossile, sarebbe fra gli elementi maggiormente responsabili delle interferenze della patologia con la gravidanza (27) (Figg. 4, 5, 6).

Ma la patologia implica alterazioni nell’eventuale gestazione?

In gravidanza l’utero aumenta, attraverso un incremento della sintesi e della combinazione di microfibrille di collagene, la propria capacità di espandersi.

L’adenomiosi riduce tale proprietà in due modi:

a)         sostituendo il normale endometrio ed il connettivo, con successivo scompaginamento dell’atteggiamento spiraliforme delle fibre muscolari e dei ponti tridimensionali di quelle collagene;

b)         aumentando le dimensioni dell’area di materiale cicatriziale, e quindi inerte, in seguito all’asportazione di un pregresso focolaio adenomiotico.

Nella letteratura vengono riportati 3 casi di rottura d’utero in gravidanza con la presenza di focolai adenomiotici a livello dei siti di lesione (34). Nelle pazienti sottoposte a fecondazione assistita, la presenza di adenomiosi si associa a riduzione del pregnancy rate e ad aumento del parto pretermine (35).

 

 

Adenomiosi e patologie associate

 

L’adenomiosi è una patologia che raramente si riscontra isolata. Nell’80% dei casi si associa a miomi uterini, iperplasia endometriale, endometriosi, neoplasie uterine. Sono tutte patologie, ad eccezione dell’endometriosi, favorite da stati di iperestrogenismo, elemento considerato basilare anche per l’adenomiosi.

Nel 57% dei casi si associa a miomi uterini. La sintomatologia è sovrapponibile, rendendo difficile la diagnosi differenziale preoperatoria (2).

L’associazione endometriosi-adenomiosi si verifica solo nel 28% dei casi (2).

Di particolare interesse è l’associazione, stimata fra l’1.4% ed il 19.8%, con la salpingite istmica nodosa, patologia a carattere infiammatorio.

 

                     

Diagnostica strumentale e adenomiosi

 

L’adenomiosi rimane ancora oggi una patologia di difficile diagnosi, spesso identificata solo alla valutazione istologica dopo isterectomia.

Di recente sono state identificate alcune metodiche che consentono al clinico di poter almeno sospettare la presenza della patologia.

Il maggiore sviluppo di tali tecniche ha permesso anche di ridurre l’incidenza delle procedure invasive, come biopsie uterine percutanee o laparoscopiche.

La diagnostica per immagini, nello studio della patologia adenomiosica, può secondo Devlieger et. al dividersi in 3 momenti:

1.         diagnosticare la patologia con sufficiente sensibilità, specificità, ma in maniera non invasiva. Un problema fondamentale, in tal caso, è che molti studi hanno effettuato i propri confronti con il reperto istologico, rilevando quadri clinici che non necessariamente è possibile riscontrare nella paziente infertile;

2.         identificare il grado di estensione e di profondità della lesione, che è responsabile non solo dell’entità dei sintomi, ma anche della terapia da approntare (4);

3.         una diagnostica non invasiva, in modo particolare nella paziente infertile, consente anche la definizione di un adeguato follow-up in corso di trattamento conservativo (36).

 

 

CA-125

 

È un antigene prodotto dalle cellule epiteliali ovariche, secreto nel sangue, e considerato punto di riferimento nell’evoluzione di svariate patologie ginecologiche, benigne e maligne.

Una correlazione fra la presenza di adenomiosi ed i livelli circolanti dell’enzima è un dato conosciuto da diverso tempo.

Già nel 1985, Takahasi et al. avevano dimostrato come il livello del CA-125 si riducesse rapidamente in seguito ad isterectomia.

Lo stesso gruppo ha riscontrato come la concentrazione dell’antigene sia maggiore a livello dell’epitelio ghiandolare presente nei foci adenomiotici (2). In letteratura, tale dato non ha trovato ancora risultati confortanti, ma sicuramente è un terreno da sondare.

Il CA-125 non è stato l’unico parametro enzimatico considerato come marker di valutazione della patologia adenomiotica. Sono stati dosati anche la cistina-amminopeptidasi e la leucina-amminopeptidasi sieriche. I livelli circolanti dei due enzimi sono elevati in numerose patologie uterine ed ovariche.

Ma anche in questo caso, però, non esistono studi adeguati che correlino questi enzimi con l’andenomiosi (2).

 

 

Isterosalpingografia

 

È stata la prima metodica utilizzata nello studio dell’adenomiosi.

L’aspetto tipico della patologia è quello di multiple e piccoli invaginazioni (1-4 mm) che vanno dall’endometrio al miometrio, terminando con una dilatazione sacciforme. In alternativa, una raccolta del mezzo di contrasto nel miometrio, può dare un aspetto a nido d’ape.

La tecnica presenta però, nella diagnosi dell’adenomiosi, bassa sensibilità e specificità, ed è per questo scarsamente utilizzata al momento in questo settore.

Focolai di adenomiosi sono riconoscibili solo nel 25% dei casi (36).

I quadri radiologici non sono patognomonici della malattia, ma possono essere presenti anche in corso di stravaso ematico o linfatico.

I focolai che non comunicano direttamente con la cavità uterina non saranno mai identificati dall’Isterosalpingografia.

Resta comunque un esame da non trascurare, visto che la ISG è solitamente utilizzata nei centri di sterilità per la valutazione della pervietà tubarica, ed è quindi importante riconoscere i suddetti quadri, qualora si dovessero presentare (Fig.7).

 

 

Isteroscopia

 

La tecnica permette di identificare le alterazioni tipiche della patologia.

L’adenomiosi severa, forma estremamente rara, si presenta con grossi diverticoli aperti a livello endometriale e cavitazioni.

Le forme di media entità non possono però essere identificate visivamente, ma richiedono un prelievo tissutale ed una successiva valutazione istologica.

Mc Causland et al. hanno dimostrato come il prelievo miometriale, preferibilmente eseguito sotto visione isteroscopica, identifichi lesioni adenomiotiche con penetrazione intramurale inferiore ai 6 mm (21). La tecnica permette di effettuare prelievi miometriali sia a livello della parete anteriore che posteriore, anche se in quest’ultima l’approfondimento della patologia è solitamente maggiore. Non esiste secondo gli autori un rischio di “prelievo a vuoto”. Mc Causland sostiene, infatti, che l’adenomiosi, se sintomatica, è presente in forma diffusa. In tal modo interesserebbe la quasi totalità della parete posteriore. Un prelievo opportunamente effettuato in questa sede è in grado di diagnosticare la patologia (4).

Il prelievo miometriale non ha evidenziato complicanze a breve o lungo termine. La perdita ematica dalla sede del prelievo può essere facilmente risolta mediante coagulazione con l’ansa o con il roller-ball. Il rischio di perforazione uterina è bassissimo. La parete uterina ha uno spessore medio di 1.5-2.0 cm, contro i 5 mm dell’ansa, e solitamente non si penetra nel miometrio che per 1/3 del suo spessore (21).

Il prelievo endo-miometriale nelle pazienti menorragiche permette di diagnosticare nel 60% dei casi la presenza di adenomiosi. È importante, però, segnalare come la tecnica consenta di identificare lesioni adenomiosiche nel 33.3% delle donne asintomatiche.

La diagnosi è resa possibile attraverso un approfondimento medio nella parete uterina di 4.1 mm nelle pazienti menorragiche e di 2.03 mm in quelle asintomatiche (37) (Fig.8).

 

 

Adenomiosi e biopsia miometriale

 

La patologia può essere identificata attraverso una biopsia miometriale anche per via laparoscopica. La sensibilità della tecnica è però bassa e strettamente legata al numero di biopsie ed alla profondità di penetrazione della patologia. La tecnica non è in grado di individuare piccoli focolai, ma permette di ottenere una conferma istologica nelle lesioni ad ampio raggio. Non dovrebbe essere eseguita come esame di routine (21, 38, 39).

 

 

Ecografia trans-addominale

 

La metodica presenta una bassa possibilità di differenziare una area adenomiotica da un fibroma uterino.

È stata, infatti, dimostrata una scarsa specificità della tecnica; la via trans-vaginale è da preferirsi.

L’ecografia trans-addominale utilizza sonde di 3.5-5.5 MHz, ed è in grado di identificare gli organi posti sotto la finestra vaginale. Risulta, però, limitata nella definizione spaziale delle strutture.

Sono presenti in letteratura studi sulla diagnostica ecografica trans-addominale ed adenomiosi.

Il primo è del 1979, di Walsh et al., che riuscirono ad identificare lesioni adenomiotiche in 9 pazienti, 4 delle quali con successiva conferma istologica. In tutti i casi, il miometrio presentava un’area focale a nido d’ape, con aspetto cistico di 5-7 mm che risaltava nella normale ecogenicità della parete uterina (36).

Bohlman et al., nel 1987, identificarono in 6 pazienti un miometrio leggermente più ipoecogeno rispetto a quello normale, non visualizzando però lesioni cistiche. Inoltre, le pazienti presentavano un aumento delle dimensioni uterine, un ispessimento della parete posteriore, ed uno spostamento in senso anteriore della cavità uterina.

In tutti gli studi i segni riportati sono del tutto aspecifici, ed inoltre le popolazioni esaminate non permettono di trarre le dovute conclusioni (36).

Attraverso una valutazione retrospettiva di 80 pazienti, Siedler et al. hanno identificato una sensibilità della tecnica pari al 63%, una specificità del 97%, un valore predittivo positivo del 71% (39).

Ad oggi la tecnica non è considerata adeguata nella diagnosi della patologia adenomiotica (36).

 

 

Ecografia trans-vaginale

 

La tecnica permette di valutare adeguatamente la morfologia uterina, ed è considerata fondamentale nello studio non solo dell’adenomiosi, ma in generale nello screening completo della paziente infertile (36).

L’utilizzo di sonde a frequenza maggiore permette di aumentare la risoluzione spaziale e di ridurre la presenza di immagini artefatte.

Le pazienti con sospetta adenomiosi dovrebbero essere sottoposte a valutazione ecografica trans-vaginale. Un’attenta definizione del miometrio è necessaria per identificare i quadri tipici della patologia. Inotre, è importante considerare il fatto che molti quadri ecografici di adenomiosi sono evidenti solo in real-time, e perdono completamente il loro significato nella stampa fotografica.

Gli aspetti ultrasonografici dell’adenomiosi sono solitamente diversi e subdoli. Numerosi sono ad oggi i criteri definiti per tale diagnosi (Tab.1).

L’aspetto ecografico maggiormente riscontrato è quello di aree eterogenee ipoecogene scarsamente circoscritte (Fig.9).

Atri et al. hanno dimostrato come la riduzione dell’ecogenicità del miometrio sia dovuta all’ipertrofia della muscolatura liscia che si associa alla presenza del tessuto adenomiotico (6).

Nel 50% dei casi è possibile identificare piccole aree cistiche (1-6 mm) (Fig.10) (36).

Quando eseguire l’ecografia? Anche questo è un elemento importante. È stato dimostrato che le dimensioni uterine in presenza di adenomiosi tendono ad aumentare in fase mestruale. In base a quanto riportato in letteratura l’accuratezza diagnostica aumenta con l’utilizzo combinato dei vari criteri e la valutazione in real-time. L’aspetto ecografico dell’adenomiosi può essere sovrapponibile a quello di un nodo di mioma. In tal caso è indicato richiedere una RMN per differenziare le patologie. Nella diagnosi differenziale, propendono per un’adenomiosi (Figg. 11, 12):

          ecogenicità non uniforme, con contorni irregolari;

          effetto massa ridotto, rispetto alle dimensioni dell’area, a carico della sierosa o della mucosa;

          aspetto ellissoidale piuttosto che globulare;

          lacune dall’aspetto particolare: immagini digitiformi o spiraliformi dell’endometrio;

          piccole cisti miometriali o lacune sparse nel miometrio;

          noduli o striature irradiati dall’endometrio al miometrio;

          assenza di una vascolarizzazione intorno al bordo della lesione (a differenza del mioma).

L’aspetto ecografico dell’adenomiosi può essere confuso con un carcinoma endometriale. L’utilizzo del color-Doppler pulsato può essere utile nella diagnosi differenziale.

L’accuratezza della tecnica rimane però fortemente legata alla esperienza ed alla abilità dell’operatore.

Fedele et al. riportano una sensibilità dell’87% ed una specificità del 99% in una popolazione di donne con masse uterine sintomatiche (41), mentre i suddetti valori passano rispettivamente all’80% ed al 74% nello studio della paziente menorragica (42).

Reinhold et al. riportano invece una sensibilità dell’86%, una specificità dell’86%, un valore predittivo positivo del 71% e quello negativo del 94% (36).

 

 

Risonanza magnetica

 

La RMN con immagini T2-pesate ha raggiunto un elevato standard diagnostico nel campo delle alterazioni uterine.

Inoltre, è una metodica meno operatore-dipendente e le immagini sono standardizzate e riproducibili.

Numerosi studi hanno dimostrato come la tecnica abbia nella diagnosi dell’adenomiosi parametri di sensibilità e specificità che variano dall’86% al 100% (6).

Le aree di adenomiosi si presentano come zone a bassa densità, che solitamente danno un’immagine di diffuso o focale allargamento della cosiddetta zona giunzionale, in cui la banda di intensità minore rappresenta lo strato miometriale interno (Tab.2).

Può essere difficile una diagnosi differenziale con altre patologie benigne uterine (36).

Nelle pazienti subfertili, la RMN può essere indicata per valutare la natura della lesione e programmare una eventuale terapia conservativa.

I confronti fra risonanza ed ecografia non sono applicabili alla paziente infertile, in quanto considerano il reperto istologico dopo isterectomia come punto di riferimento. In merito comunque i risultati non sono concordi.

Asher et al., su una popolazione di piccole dimensioni, evidenziano una lieve superiorità della RMN rispetto all’ecografia (17/20), mentre Reinhold et al. non hanno identificato nessuna differenza significativa fra le due metodiche (6).

In pratica, i costi di gestione e la ridotta disponibilità della RMN, ne escludono l’utilizzo nelle fasi iniziali della diagnostica, limitandone l’applicazione ad una seconda fase di studio.

La sensibilità e la specificità della RMN nella diagnosi dell’adenomiosi in pazienti sintomatiche (36) sono state stimate rispettivamente pari all’88% ed al 100%.

 

 

Terapia dell’adenomiosi nella

paziente infertile

 

La terapia classica dell’adenomiosi si basa sull’ablazione endometriale o l’isterectomia. Ovviamente entrambe le possibilità vanno escluse nella paziente desiderosa di prole.

In questi anni, sono stati numerosi i protocolli terapeutici approntati per il trattamento dell’adenomiosi nella paziente infertile.

Purtroppo, è importante sottolineare come tutti gli studi si basino su popolazioni ristrette.

Ad oggi, la terapia conservativa dell’adenomiosi può essere garantita in tre modi:

          embolizzazione vascolare;

          terapia ormonale;

          terapia chirurgica;

          terapia combinata: chirurgica ed ormonale.

Il trattamento dell’adenomiosi mediante embolizzazione sotto guida radiologica è stato descritto di recente.

Gli studi presenti in letteratura sono basati su piccole popolazioni, e ad oggi non è stata ancora descritta nessuna gravidanza post-trattamento (6). La tecnica ha comunque permesso la risoluzione della patologia nel 92.3% dei casi (43).

La metodica non è scevra di effetti collaterali.

Huang et al. riportano, infatti, un caso di espulsione incompleta per via vaginale di un pioadenomioma associato a sepsi e necrosi focale della vescica (44).

Il trattamento della sintomatologia legata alla adenomiosi può essere affrontato con progestinici, estro-progestinici ad assunzione continuativa, anti-estrogeni e agonisti del GnRH. L’efficacia dei trattamenti è però strettamente legata alla riduzione della sintomatologia con effetti variabili e fortemente dose-dipendenti.

In letteratura vi è poca informazione in merito al rapporto fra terapia medica ed adenomiosi.

I vantaggi, rispetto alla terapia chirurgica, sono la riduzione di effetti collaterali legati al trattamento demolitivo (aderenze ad esempio), e la ridotta efficacia che la chirurgia conservativa può avere. D’altra parte notevole svantaggio della terapia medica è la relativa inefficacia e la presenza di numerosi ed importanti effetti collaterali (34).

Su tutti, gli agonisti del GnRH e gli anti-estrogeni, come il Danazolo, sono i prodotti maggiormente studiati ed utilizzati.

 

 

Contraccettivi orali

 

L’assunzione continua di E/P a basso dosaggio con una perdita mestruale ogni 4-6 mesi può essere efficace nel ridurre la menorragia e la dismenorrea (34).

 

 

Progestinici

 

Quello maggiormente studiato è il MAP. La somministrazione di 30 mg/die o di 50 mg/die porta a risultati analoghi.

Svantaggi della terapia sono la possibile perdita ematica da privazione, l’aumento di peso, la ritenzione di liquidi, tensione mammaria e modificazioni del tono dell’umore.

 

 

Danazolo

 

È il farmaco più utilizzato per il trattamento dell’endometriosi.

Il dosaggio considerato ottimale è di 400 mg/die. L’azione androgenizzante del Danazolo favorisce l’incidenza di importanti effetti collaterali, alcuni dei quali irreversibili, come l’irsutismo e l’abbassamento del tono di voce.

 

 

Gestrinone

 

È un anti-androgeno, anti-progestinico ed anti-estrogeno utilizzato nel trattamento dell’endometriosi.

Ha effetti analoghi al Danazolo, ma una emivita notevolmente maggiore, che ne consente la somministrazione bisettimanale. La dose standard è 5 mg a settimana. Gli effetti collaterali sono principalmente quelli di tipo androgenico, ma minori rispetto al Danazolo, che sta via via sostituendo.

 

 

Analoghi del GnRH

 

Gli analoghi del GnRH creano uno stato di pseudo-menopausa, con un ambiente ipoestrogenico. Hanno evidenziato ottimi risultati nel trattamento di altre patologie ormono-dipendente, quali fibromi ed endometriosi.

Limita l’utilizzo di tali molecole la presenza di effetti collaterali, quali hot flushes, modifiche dell’umore, demineralizzazione ossea. Tali effetti possono essere comunque ridotti mediante un combinato apporto di estrogeni. Inoltre, la terapia con analoghi del GnRH inibisce la sintesi di NO sintetasi (30).

Nel primo caso di adenomiosi trattata con analoghi, descritto nel 1991 da Grow e Filler, al miglioramento della sintomatologia non ha fatto seguito una gravidanza (45).

Di recente però numerosi autori hanno riportato l’insorgenza di gravidanze dopo la terapia ormonale (Tab.3).

In particolare, interessante è il protocollo di Huang et al., che richiede comunque conferme future.

Sull’utilizzo di dispositivi intra-uterini medicati al levonorgestrel sono presenti in letteratura due studi.

Fedele et al., rilevano una riduzione del volume uterino solo nel 9.8% dei casi, ma una scomparsa della sintomatologia menorragica nel 100% delle pazienti (46).

Fongh e Singh rilevano, utilizzando il medesimo dispositivo, nell’arco di 12 mesi una significativa riduzione del volume uterino, imputabile alla massiva dose di levonorgestrel ad azione locale (47).

L’utilizzo di IUD medicati potrebbe essere un’evenienza anche per la donna infertile, ma ad oggi, non vengono riportate gravidanze in seguito a terapia.

Ozaki et al. riportano un caso di gravidanza a termine in una paziente affetta da adenomiosi e sottoposta a terapia con leuprolide acetato (48).

Igarashi et al. riportano 3 gravidanze in una popolazione di 12 pazienti, sottoposte a trattamento con dispositivi intra-uterini medicati al danazolo (49). Secondo gli autori, il vantaggio del danazolo intra-uterino, rispetto alla somministrazione orale, è quello di poter agire direttamente sull’EMI.

 

 

Terapia chirurgica

 

Il trattamento chirurgico è una possibilità che incontra un’importante possibilità di successo, favorita dalla riduzione dei sintomi anche in casi di non completa escissione della massa (34).

La chirurgia laparoscopica può incontrare delle difficoltà nella rimozione completa dei focolai adenomiotici. Un fattore importante da considerare nei casi di chirurgica conservativa è quale possa essere la quota di tessuto uterino che verrebbe lasciata. Tale valutazione è necessario che venga effettuata in vista di una eventuale gravidanza.

L’assenza di letteratura adeguata in merito, ha fortemente influenzato le possibilità di scelta degli specialisti. Non è presente infatti uno studio adeguato sul trattamento chirurgico di adenomiosi ed una successiva gravidanza

Non è possibile eseguire un confronto fra asportazione di un focolaio di adenomiosi con gli esiti di una miomectomia. Un nodulo miomatoso cresce all’interno di un tessuto miometriale integro, e la sua rimozione restituisce all’organo la sua caratteristica iniziale. L’adenomiosi, invece, infiltra il normale miometrio, e di conseguenza, l’asportazione del focolaio comporta anche la rimozione di tessuto integro.

Eliminare una quota considerevole di miometrio pone il clinico davanti a due problemi fondamentali:

          riduzione della capacità miometriale in corso di gravidanza, con maggiore predisposizione ad aborto e parto pretermine

          formazione di cicatrici fibrose che possono ridurre la capacità contrattile dell’organo ed essere inoltre sede di focolai residui.

 

 

Quali possono essere le soluzioni chirurgiche?

 

Ablazione endometriale

 

È la terapia indicata per le pazienti con adenomiosi limitata all’EMI, ed in cui la sintomatologia mestruale possa essere ridotta e la patologia rimossa.

È indicata anche per le forme di adenomiosi a carico del terzo miometriale esterno, in cui la sola escissione laparoscopica non permette di risolvere la patologia.

L’ablazione endometriale si è dimostrata particolarmente efficace nel ridurre la sintomatologia mestruale legata all’adenomiosi.

La validità del trattamento è strettamente correlata al grado di infiltrazione nella parete uterina. Se la paziente ha un’invasione miometriale maggiore di 2.5 mm il risultato finale non sarà soddisfacente (50).

Aree di tessuto ectopico tendono a persistere sotto la cicatrice e possono anche invaderla, favorendo sanguinamenti ricorrenti.

Ovviamente, il desiderio di una gravidanza futura non si concilia con tale forma di terapia.

 

 

Elettrocoagulazione miometriale

laparoscopica

 

Si basa sulla necrosi delle aree di adenomiosi.

Trova indicazione sia nelle forme localizzate che in quelle diffuse. La tecnica può non essere risolutiva come l’asportazione completa della massa. Un inconve niente importante è la formazione di un’area fibrosa cicatriziale che riduce la resistenza e la capacità di adattamento dell’utero.

Si riporta in letteratura un caso di rottura d’utero in corso di gravidanza alla 12ma settimana (34). È maggiormente indicata, per questo motivo, nelle pazienti di età superiore ai 40 anni, che non desiderino una gravidanza, che però preferiscono evitare un’isterectomia.

Nezhat et al. riportano una popolazione di nove pazienti, sottoposte a trattamento laparoscopico per rimozione di focolai adenomiotici, andate in gravidanza dopo un periodo medio di 6.9 mesi (51). Di queste, 5 hanno concepito spontaneamente. Lo studio avvalora la possibilità di gravidanza dopo trattamento laparoscopico.

 

 

Escissione miometriale

 

Consente l’asportazione completa della lesione adenomiotica, i cui confini debbono essere adeguatamente delimitati in sede di diagnosi. È indicata nelle pazienti che desiderino una gravidanza, in quanto permette di mantenere una quota di tessuto miometriale sufficiente a favorire una gravidanza.

La cicatrice è solitamente limitata e non compromette la funzionalità d’organo.

 

 

Terapia combinata:

chirurgica e ormonale

 

La rimozione in microchirurgia di aree adenomiotiche visibili, associata alla somministrazione di GnRH agonisti (goserelin 3.6 mg da 2 a 6 cicli) ha favorito l’insorgenza di 4 gravidanze (52).

Il trattamento chirurgico, riducendo la componente cellulare, aumenta la quota di ormone disponibile per l’area adenomiosica.

In tutti i casi è stato necessario il taglio cesareo, ed in alcuni casi con incisione longitudinale per rimuovere l’area di adenomiosi.

Nell’associazione laparoscopia-terapia ormonale si riporta in letteratura un caso di taglio cesareo a 30 settimane per minaccia di rottura d’utero (6).

La somministrazione preoperatoria dell’analogo del GnRH per 3 mesi favorisce una riduzione media del volume uterino del 50.8%, il trattamento chirurgico sottrae un’ulteriore 14.9% (34). La terapia ha dimostrato di ridurre l’incidenza di recidive ad 1 anno rispetto a popolazioni sottoposte a trattamento solo chirurgico (34).

Ozaki et al. riportano un caso con gravidanza a termine con espletamento del parto mediante taglio cesareo, dopo asportazione chirurgica di un nodulo di adenomiosi resistente alla terapia ormonale.

In base ai dati in letteratura, appare convincente una linea di condotta che riservi alla terapia chirurgica solo quei casi resistenti al trattamento ormonale per un minimo di 6 mesi.

 

 

Trattamento conservativo

dell’adenomiosi: risultati

 

Wood riporta un 63% di pazienti sottoposte a trattamento chirurgico conservativo che dopo 2 anni non presentavano una recidiva di malattia, mentre nel 12% dei casi le donne hanno continuato a manifestare la sintomatologia richiedendo una chirurgia di tipo demolitivo (34).

La percentuale di fallimento delle singole tecniche è stimata inferiore al 50%.

Il 56% delle pazienti che si erano sottoposte a trattamento per infertilità ha avuto una gravidanza.

L’autore riporta un solo caso di rottura d’utero in gravidanza, in seguito a 2 sedute di elettrocoagulazione, una delle quali associata ad una escissione miometriale (34).

 

 

Il futuro

 

Lo sviluppo della terapia ultrasonica ad alta intensità focalizzata (HIFU) pare possa dare buoni risultati anche per il trattamento dell’adenomiosi.

Utilizzata nel trattamento delle masse tumorali ha dimostrato elevata efficacia. Nei modelli murini ha consentito una riduzione dell’82.5% di un nodo di mioma. Attualmente è in valutazione la sicurezza della tecnica per via trans-vaginale.

 

 

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